Testo pubblicato in Flash Art, N. 218, Milano, 1999.


Arte del DNA
II festival Ars electronica ‘99


C’era una grande aspettativa quest’anno per il lavoro di Eduardo Kac che, attraverso Internet, si era annunciato come l’operazione artistica emblematica di questa edizione del festival dedicata alla “scienza della vita”.

La sua installazione Genesis all’OK Centrum appariva a prima vista solo una impeccabile opera concettuale: in una sala oscurata era collocato un contenitore bioteck di batteri vivi transgenetici; sulla parete di fondo erano projettati live, fortemente ingranditi, mentre sulle pareti laterali campeggiavano a sinistra l’intera sequenza di nucleotidi del loro DNA, a destra una frase dell’Antico Testamento che celebra il dominio dell’uomo sulla natura.

La particolarità di questi batteri, rispetto a tutti gli organismi viventi che negli ultimi decenni abbiamo potuto vedere nelle mostre, è che sono un embrione di vita sintetico che può essere trasfuso in altri organismi viventi modificandone il codice genetico. Per afferare meglio il senso del lavoro di questo artista quarantenne di Chicago credo occorra tener presente anche l’altro lavoro presentato come progetto in corso al pubblico teso e silenzioso del simposio alla Brucknerhaus sotto il titolo Green Fluorescent Protein. Si tratta della costruzione transgenetica di un cane ibridato con un mollusco - jelly fish - del quale assumerà la fluorescenza verde, visibile al buio e sotto la luce di Wood. È apparso chiaro che la modificazione transgenica di questo cucciolo non potrà che ricadere nella sfera dei significati linguistici, com’è avvenuto in ventimila anni di selezione canina nei quali l’uomo - dice Kac - ha addomesticato il cane ma anche il cane ha addomesticato l’uomo. Così la relazione tra questo cucciolo e l’ipotetico collezionista acquirente non potrà che essere dialogica. Con la paradossalità di questi geni artistici, reali e simpolici nello stesso tempo, l’artista ci comunica che il significato preminente dell’ingegneria genetica non è una faustiana ricreazione della vita ma la nascita di una nuova soggettività relazionale.

Il ponderato intervento di Kac, che faceva seguito a un’articolata e multidisciplinare serie di relazioni scientifiche - David Kevles e Dean Hamer genetisti, Jeremy Rifkin e Bruno Latour sociologi -, ha fatto “precipitare” gli umori inquieti del pubblico che certamente ha condiviso le preoccupazioni per gli alti rischi insiti nelle biotecnologie o dirivati dal sequestro commerciale che ne stanno facendo le multinazionali, ma che si è mostrato comunque convinto della necessità di sviluppare queste tecnologie per le vaste potenzialità che esse ci offrono.

Il problema contingente mi pare allora, come ha efficacemente sottolineato Latour, avviare un processo di informazione e coscientizzazione sulla biogenetica nel quale gli artisti avrebbero un ruolo propulsore con i loro investimenti di senso simbolico. Un processo, quindi, alternativo alla corrente ideologia genetistica impregnata di quel determinismo.

Secondo Kac lo snodo attuale è tra l’interattività basata sul silicio e quella che scaturisce dalla vita organica: metafora che collima con le previsioni futurologiche che collocano la life science al centro dello sviluppo tecnoscientifico dei prossimi decenni. Quella che mi sembra comunque riconfermata è la capacità del collettivo organizzativo di Ars electronica, a vent’anni dall’inizio dei festival, di cogliere le linee essenziali dei grandi processi di mutazione culturale, in un contesto di reale interdisciplinarità che anche quest’anno ha permesso di mettere efficacemente a confronto scienziatti, tecnici, artisti e filosofi.


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