L'espresso, 2003, Rome


Se questa è arte

di Francesca Reboli

Maneggiano provette, coltivano tesuti, incrociano fiori. Sono gli artisti biotech: esponenti di una nuova tendenza mondiale che porta l’arte dentro i laboratori di genetica e di biologia

L'ultima opera di Marion Laval-Jeantet e Benoît Mangin si chiama "Coltura di pelle d'artista" . Per realizzarla i due quarantenni parigini si sono fatti prelevare un campione di 5 millimetri di epidermide da un gruppo di ricercatori del Mit di Boston che l'hanno poi innestata sul derma di un maiale e coltivata in una soluzione di amminoacidi.

Qualche tempo dopo, Laval e Mangin hanno potuto decorare l'ibrido di pelle così ottenuto tatuandovi sopra immagini di animali come topi, farfalle, ragni. Il risultato finale? Piccole provette da laboratorio contenenti campioni di pochi centimetri di pelle ibrida cesellati con i ritratti degli animali in miniatura. Da esporre nelle gallerie d'arte, ma anche da farsi impiantare sul braccio. Questa anzi sarebbe la destinazione ideale dell'opera immaginata dai due autori, che l'hanno studiata per collezionisti desiderosi di "indossarla" nella pelle. Estrema, scioccante, forse ripugnante: ma anche questa è arte. O meglio, bioarte, arte biotech, arte trangsenica: creazione artistica che non teme di sporcarsi le mani nei laboratori delle biotecnologie, e considera la manipolazione di tessuti, cellule e DNA come il suo principale strumento di espressione.

Maiali con le ali, cloni di alberi, ibridi di fiori e farfalle transgeniche non costituiscono più soltanto il normale repertorio di un laboratorio biotech. Sono le opere dei bioartisti, molte delle quali esposte di recente alla Galleria Lieu Unique di Nantes nel corso della mostra "L'art biotech". Spiega Jens Hauser, curatore dell'esposizione: "Lo scopo della bioarte è sollevare il velo su quanto accade all'interno dei laboratori di genetica per interrogarsi sulle tecnologie e imparare a utilizzarle." In questo senso, gli artisti-scienziati sono pionieri, al pari dei primi net-performer che utilizzavano l'informatica come mezzo di espressione creativa. Obiettivo dei bioartisti non è la condanna delle biotecnologie, quanto la loro sperimentazione.

Il fine è cercare di mantenere vivo nella società il dialogo sulle molte questioni sollevate dalla genetica: dalla clonazione al superamento delle barriere tra le specie, dall'eugenetica al métissage tra due organismi diversi. La mostra di Nantes rappresenta in questo senso una prima mondiale: un'esposizione unica che raggruppa più artisti sotto l'ombrello dell'arte biotech, una tendenza in atto da qualche anno legata a presupposti condivisi, ma costituita da voci e istanze diverse. L'assunto comune a tutti i bioartisti è l'utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici per la creazione di opere d'arte nelle quali il medium utilizzato - la biotecnologia come manipolazione della vita - sia nello stesso tempo il soggetto dell'opera. Per questo i bioartisti hanno spesso alle spalle una formazione scientifica o comunque lavorano a stretto contatto con ricercatori e scienziati: esperti che li supportano nelle loro creazioni.

E' il caso della portoghese Marta de Menezes, il cui atelier d'artista è un laboratorio di biologia olandese, nel quale ha lavorato per mesi per riuscire a disegnare, attraverso la manipolazione genetica, dei motivi artificiali sulle ali di alcune specie di farfalle. "Questi insetti", spiega de Menezes, "portano disegni mai esistiti in natura; sono artificiali, creati da un artista, ma anche naturali: i motivi delle ali sono realizzati infatti attraverso la manipolazione di cellule viventi, senza pitture, né incisioni". Le modificazioni del disegno delle ali si ottengono infatti manipolando le crisalidi, senza tuttavia che vi sia un intervento sul genotipo dell'insetto. L'opera d'arte di cui le farfalle sono portatrici scompare così al termine del loro ciclo vitale, senza trasmettersi geneticamente.

Se Marta de Menezes modifica le cellule degli insetti e il duo Art orienté objet coltiva e mette in mostra campioni di pelle per riflettere sulle ormai labili e trasgredibili barriere tra le specie animali, sono vent'anni che l'americano George Gessert, ex pittore e oggi bioartista specializzato nell'ibridazione dei fiori, frequenta i confini tra le molte varietà di iris, dalie e papaveri, incrociandoli e creando nuove piante. "Le biotecnologie mi affascinano", dice Gessert, "perché ridanno vita quotidianamente a un mito ancestrale: quello del controllo assoluto della vita". A Nantes, Gessert ha portato i suoi iris dai colori brillanti, insieme a una serie di foto che documentano passo dopo passo il suo lavoro di creazione genetica.

Al di là della semplice rappresentazione della bellezza sotto forma vegetale, l'artista affida ai suoi fiori riflessioni sull'eugenetica e sull'utilizzo delle biotecnologie per la creazione di forme viventi che rispondano alle esigenze dei mercati o ai dettami della moda. Se questo tipo di visione eugenetica si applica oggi ai fiori e agli animali, cosa accadrà quando sarà il turno dell'uomo? In una sorta di darwinismo rovesciato, Gessert crea piante che rispondono unicamente al suo personale concetto di bellezza, ignorando il comune concetto del bello. All'interno del suo lavoro c'è quindi anche una componente più specificamente estetica: "incrocio fiori perché ritengo che questa pratica sia una delle forme più immediate e complete di accesso alla bellezza", precisa Gessert, "colore, forma, consistenza, profumo esistono nella loro massima espressione soltanto negli organismi viventi".

Accanto alla bellezza dei fiori geneticamente modificati, nel museo-laboratorio trovano posto però anche pezzi che sfuggono decisamente a ogni categoria estetica. La bellezza ha ben poco a che fare con i lavori del collettivo australiano Symbiotica, fondato da Oron Catts e Ionat Zurr: si tratta infatti di autentici esperimenti da laboratorio genetico. Tra i progetti del gruppo, che ha la propria base operativa presso l'Istituito di anatomia e biologia dell'Università di Perth, il più scioccante si intitola Pig Wings, "ali di maiale", ed è stato realizzato creando in provetta ali di pipistrello in miniatura a partire da tessuti prelevati da maiali, precisamente cellule staminali di midollo osseo. Lo scopo è riflettere sulla possibilità non remota di creare organi al di fuori del corpo umano e animale: organi semi-viventi con cui sostituire quelli malati o difettosi tramite il trapianto.

A Nantes, questi artisti "in vitro" hanno portato le loro opere d'arte: provette contenti sculture semi-viventi ottenute attraverso la coltivazione di tessuti. Tra queste, le "Semi-living Worry Dolls", piccole sagome di bambole ottenute legando con del filo di sutura chirurgico brandelli di tessuti, formati da aggregati di cellule viventi: pupazzi di carne dalla valenza simbolica che rappresentano le nostre paure nei confronti del futuro delle biotecnologie. Ancora più trasgressivo un altro progetto presentato a Nantes da Symbiotica, intitolato "Disembodied Cuisine": all'interno di un'istallazione che riproduce un laboratorio biotech, vengono coltivati tessuti ricavati da rane viventi. Le cellule, prelevate dagli anfibi, vengono poi fatte crescere attraverso uno speciale procedimento in assenza di gravità. Nutrite giorno dopo giorno, formano piccoli dischi di tessuto: le "bistecche di rana", porzioni di carne commestibile che gli artisti di Symbiotica offrono in assaggio ai visitatori delle loro esposizioni, mostrando loro che, nel corso dell'insolito banchetto, le rane "donatrici" sguazzano in pace in un vicino acquario. Provocazione? Tentativo di mettere alla prova le biotecnologie portandole alle loro estreme, paradossali conseguenze? La bioarte è anche questo, una riflessione culturale che spesso va a scapito della ricerca estetica.

Alcuni esponenti della tendenza non esitano a definire il loro lavoro "wet art", arte umida, sporca, che interviene sulla materia organica, cioè su quanto esista di più lontano dall'idea di purezza immateriale. Secondo il critico d'arte Gianni Romano, "l'arte biotech si inserisce nel contesto attuale di amore/odio per le tecnologie, fa presa sui timori provocati dall'accelerazione che il progresso tecnologico ha conosciuto negli ultimi 50 anni. Il suo valore è prevalentemente sociologico, mentre dal punto di vista meramente estetico questi artisti non hanno molto da dire." Di natura principalmente culturale è anche l'interesse che anima Eduardo Kac, brasiliano 41enne, capostipite dell'arte biotech, creatore nel 2000 di Alba, la celebre coniglietta transgenica dall'improbabile colore fluorescente. Kac non si è fermato ad Alba e per l'opera "The Eight Day", l'ottavo giorno, ha mobilitato un'èquipe scientifica dell'Università dell'Arizona di Phoenix che lo ha aiutato a creare un piccolo ecosistema popolato da un robot e da pesci, topi e piante fluorescenti. Lo scopo dell'opera? Confrontare il mito della creazione originaria con quello della seconda creazione, di natura biotecnologica.

Chi sono gli artisti biotech

1-Art orienté objet
Questo duo francese, composto da Marion Laval-Jeantet e Benoît Mangin, ha presentato alla mostra Art biotech, appena conclusa a Nantes, l'opera "Cultures de peaux d'artistes": coltivazioni della propria pelle ibridata con il derma di un maiale e ornata con tatuaggi raffiguranti animali vittime potenziali della manipolazione genetica: topi, ragni, farfalle.

2-George Gessert Abbandonati i pennelli e le tele, l'ex pittore americano George Gessert, 59 anni, si dedica da vent'anni all'arte genetica dell'ibridazione vegetale,creando specie di iris, dalie, nasturzi e papaveri che non esistono in natura. Artista-orticoltore, Gessert crea fiori che, anti-darwinianamente,rispondono al suo personale concetto del bello e trascurano i dettami del mercato e dell'estetica dominante.

3-Collettivo Symbiotica
Oron Catts e Ionat Zurr, australiani, sono i fondatori di questo collettivo di artisti-scienziati con base all'Università di Perth specializzati nella creazione di sculture semi-viventi. Tra le loro opere, Disembodied Cuisine:un progetto di coltivazione artificiale di tessuti ricavati da rane viventi.

4-Stephanie Valentin
Grazie a uno speciale microscopio a elettroni, Valentin ha creato "pollinate": una serie di incisioni su grani di polline delle dimensioni di 25 micron. Le incisioni sono poi state fotografate, ingrandite e stampate. Il lavoro di questa artista australiana è in mostra, fino a settembre, alla Stills Gallery di Sidney.

5-Eduardo Kac
Principale esponente del movimento dell'arte biotech e docente all'Art Institute di Chicago, il brasiliano Kac, nato nel 1962, è autore di diversi lavori, tra cui il più eclatante è "The Eight Day", metafora della seconda creazione, quella biotecnologica, che dà vita ad animali e piante transgenici fluorescenti attraverso l'introduzione di un gene che produce una proteina verde fluorescente.

6-Natalie Jeremijenko
Australiana, 39enne, ha creato una serie di cloni da un unico albero (una specie particolare di nocciolo che cresce in California) per dimostrare la complessità delle informazioni genetiche e il ruolo giocato dall'ambiente nello sviluppo delle piante che, pur essendo geneticamente identiche, mostrano delle differenze.

7-David Kremers
Nato nel 1960 in Colorado, si autodefinisce artista concettuale della biologia ed è autore di quadri "viventi", la cui particolare colorazione è data dall'utilizzo di batteri geneticamente modificati che producono enzimi colorati.

8-Akcroyd and Harvey
Questa coppia di artisti inglesi ha realizzato diverse opere d'arte, tra cui una pelliccia e una sagoma di tigre, utilizzando una speciale erba geneticamente modificata che non appassisce mai e cambia la tonalità di verde a seconda della quantità di luce che riceve.

9-Marta de Menezes Assistita da un gruppo di ricercatori olandesi, questa artista portoghese ha creato una serie di farfalle geneticamente modificate attraverso la manipolazione genetica delle crisalidi. Il risultato? Farfalle che non esistono in natura, con motivi insoliti disegnati sulle ali dalle stesse cellule modificate.

10-Joe Davis
Americano, 53enne, lavora al Mit di Boston da vent'anni come ricercatore. Architetto, dagli anni 90 studia biologia molecolare e microbiologia. Davis utilizza il DNA come mezzo di espressione artistica: manipolandolo, inserisce nel DNA di batteri, topi e altri organismi messaggi poetici scritti con lo stesso codice del DNA. Per leggere i testi occorre andare in laboratorio e decifrare le sequenze di DNA.

11- Alexis Rockman
Non manipola né interviene sulla natura, ma utilizza tecniche di pittura tradizionale per rappresentare un mondo dominato dalla biotecnologia. Le sue opere illustrano la fattoria transgenica del futuro, popolata di animali mostruosi incrociati tra loro.


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