Originally published in ARCH'IT rivista digitale di architettura, June 11, 2001. <http://www.architettura.it/interview/20010611/index_en.htm>


Eduardo Kac. Questioning the objectivity of space

Marialuisa Palumbo

 

[in english] La parola spazio indica nella lingua italiana una “entità illimitata e indefinita”, a differenza della parola luogo che indica una “porzione idealmente o materialmente delimitata di spazio”. Ma, lo spazio, nella sua in-definizione, contiene molte altre significative sfumature tra cui quella di “margine d’azione” o quella di “estensione temporale”. La parola spazio configura insomma un territorio estremamente vasto, che a che fare tanto con la delimitazione di luoghi, quanto con i corpi e le loro azioni, e ancora, con entità immateriali come l’estensione temporale. L’etimologia ci dice infatti che la parola latina spatium era probabilmente connessa con l’essere aperto. Lo spazio è l’orizzonte aperto dell’architettura. Questo orizzonte è ciò di cui l’architettura si occupa, ed anche ciò che fisicamente occupa.

Ma quali sono le caratteristiche dell’orizzonte a noi contemporaneo? Qual è oggi il margine d’azione dell’architettura? Questa prima intervista –come le altre che seguiranno– è un tentativo di riflettere su queste domande, rimettendo ancora una volta in discussione ogni presunta oggettività dello spazio. Perché oggi più che mai l’essere aperto dello spazio si rivela come un essere complesso, molteplice, multiforme, stratificato… In questo senso il lavoro di Eduardo Kac -ed in particolare le sue opere che più direttamente hanno a che fare con la concezione e manipolazione dello spazio- ci fornisce, come esseri umani e come architetti, una serie di spunti visionari e provocatori per riflettere oggi sul nostro ruolo di artefici della realtà. [MLP]






Una conversazione a distanza tra Maraluisa Palumbo ed Eduardo Kac

[11jun2001]
Eduardo Kac è un artista di origine brasiliana che vive e lavora a Chicago dove insegna come Associate Professor of Art and Technology alla School of the Art Institute of Chicago. Caratteristica dominante della sua sperimentazione è la combinazione di tecnologie provenienti da diversi ambiti di ricerca -come la telerobotica, le tecnologie di rete e l’ingengeria genetica-, per elaborare complessi scenari interattivi che prevedono spesso l’integrazione di spazi differenti -lo spazio fisico di una o più gallerie, lo spazio virtuale della rete, e altre “regioni” più o meno remote di spazio- così come forme di relazione tra specie di vita differenti -uomini, piante, animali. Per informazioni sulla sua biografia, le sue opere e i suoi scritti: www.ekac.org.
MARIALUISA PALUMBO: Le tue installazioni colpiscono immediatamente la fantasia di un architetto per la loro capacità di essere nello spazio mettendo costantemente in discussione il concetto stesso di spazio, così come quello di presenza nello spazio. Ogni installazione infatti è il progetto di un circuito almeno tra tre spazi differenti: uno spazio reale (come una galleria), uno spazio virtuale (un sito web) e uno o molti altri spazi reali (un'altra galleria, o altre località sparse per il mondo e magari interconnesse al primo spazio tramite webcam azionabili dal sito web come in Teleporting’s Web Site), e ogni volta l’azione a distanza è capace di conseguenze reali nello spazio fisico. Utilizzando un’espressione di De Kerckhove mi sembra che le tue installazioni possano essere considerate come delle “architetture connettive” ovvero dei sistemi di relazione o di correlazione tra i diversi spazi in cui oggi ci troviamo a vivere, spazi costruiti sul limite o sul superamento del limite tra reale e virtuale, universi multi-utenti capaci di interconnettere presenza locale e remota…

EDUARDO KAC: E’ chiaro che il vecchio modello di comunicazione semio-linguistica mittente/ricevente non basta più per descrivere la natura multimodale di eventi di telecomunicazione interconnessi, collaborativi e interattivi, che caratterizza lo scambio simbolico al principio del ventunesimo secolo, sia nell’arte che nei rapporti ordinari dei nostri affari quotidiani. Come ibrido di robotica e telematica, la telepresenza si aggiunge alla complessità di questa scena. Nei collegamenti in telepresenza, vengono trasmessi immagini e suoni ma non ci sono “mittenti” impegnati a trasmettere significati specifici a dei “destinatari”. Nel suo saggio “Segno Evento Contesto”, Derrida ha messo in evidenza la natura multivoca della parola comunicazione.


"ESSAY CONCERNING HUMAN UNDERSTANDING" (1994).
Comunicazione tra specie differenti attraverso strumenti di telerobotica: uno scenario interattivo tra spazio fisico e telematico. Un canarino e una pianta collocati in due diverse gallerie sono interconnessi via Internet attraverso un complesso sistema di interfaccia che rileva la reazione della pianta al canto del canarino e la trasforma in una risposta sonora riinviata a l canarino.


"Era stato piazzato un elettrodo sulle foglie della pianta per sentire la sua risposta al canto del canarino. Le fluttuazioni del voltaggio della pianta erano monitorate attraverso un software di gestione (computerizzato) chiamato analizzatore Interattivo di Onde Cerebrali.


Queste informazioni alimentavano un altro computer… che controllava un sequenziatore MIDI [interfaccia digitale per strumenti musicali]. I suoni elettronici (mandati dalla pianta all’uccello) erano pre-registrati, ma l’ordine e la durata erano determinati in tempo reale dalla risposta della pianta al canto dell’uccello". [E. Kac]

"RARA AVIS" (1996)
Un caschetto per realtà virtuale permette al visitatore di vedere attraverso gli occhi del macao elettronico. Quando l’osservatore muove la testa lo stesso movimento ruota la testa del macao causando un cambiamento del punto di vista.


"nella nostra vita quotidiana diamo per scontato di vivere in un unico mondo reale, con un solo corpo e una sola coscienza –ma la nostra condizione è davvero così sicura?" [M. Kusahara]


"Con l’avvento di Internet, vivere virtualmente in un altra comunità (o un altro spazio) sta diventando un aspetto ordinario della vita. È anche possibile avere un altro ‘se’ in un altro mondo come avatar. Ma allora dove viviamo… 


Apparteniamo allo stesso tempo a spazi differenti in un cerchio di realtà intermittenti?" [M. Kusahara]
“Parliamo anche di luoghi diversi o lontani in comunicazione tra loro attraverso un passaggio o un’apertura. Ciò che ha luogo, in questo senso, ciò che è trasmesso, comunicato, non riguarda fenomeni di significato o significazione. In questi casi non abbiamo a che fare né con un contesto semantico o concettuale, né con un’operazione semiotica ed ancor meno con uno scambio linguistico.” E’ questa apertura, questo passaggio tra due spazi, che definisce la natura della particolare esperienza di comunicazione creata dall’arte della telepresenza. Questa apertura non è un contesto per l’”espressione personale” (dell’autore o del partecipante); non è il canale per comunicare messaggi semiologicamente definiti; non è uno spazio pittorico dove sono strutturalmente rilevanti questioni estetico formali; non è un evento dal quale si possono estrarre significati specifici.

I miei lavori sulla telepresenza utilizzano telerobot progettati e costruiti specificatamente per ogni progetto. Attraverso il telerobot I partecipanti raccolgono immagini, ascoltano suoni lontani, e/o provocano cambiamenti nell’ambiente distante. La distanza più breve tra due punti non è più una linea retta, come era nell’era della locomotiva e del telegrafo. Oggi, nell’era dei satelliti e delle fibre ottiche, la distanza più breve tra due punti è il tempo reale. La capacità di scambiare informazioni istantaneamente, di mandare e ricevere immagini immediatamente (“in-mediatamente”, o senza un medium o mezzi apparenti?), spiega la decrescente importanza sociale dell’estensione dello spazio rispetto alla intensità del tempo.

MLP: Un altro elemento sorprendente, proprio dal punto di vista della costruzione dello spazio, riguarda appunto la “collocazione” dell’utente: visitare una delle tue installazioni non significa semplicemente percorrere uno spazio in senso tradizionale, ma piuttosto esplorare un dispositivo che disloca, ribalta o semplicemente sposta i limiti dell’esperienza tradizionale dello spazio. Per esempio in Rara Avis, il visitatore si ritrova a confrontarsi con un doppio punto di vista: esterno alla gabbia e rivolto ad essa, ed interno alla gabbia e rivolto al visitatore. Oppure in Darker than Night, il visitatore si ritrova a esplorare lo spazio attraverso un sistema di scansione sonora e a dialogare così con altri pipistrelli. In altre parole, queste installazioni sembrano invitarci a riflettere su come l’esperienza del corpo nello spazio “reale” oggi possa essere estremamente dilatata attraverso le tecnologie elettroniche…

"TELEPORTING AN UNKNOWN STATE" (1998)
Per sopravvivere le piante hanno bisogno di fotoni, la più piccola parte di energia nelle onde elettromagnetiche. In questa installazione, gli osservatori nella galleria vedevano una pianta che germogliava dal centro di un campo rettangolare sul pavimento e cresceva attraverso il "teletrasporto di fotoni" attraverso un videoproiettore.



I partecipanti lontani erano invitati ad attivare una rete di webcam dirette verso il cielo di otto regioni della Terra: il Website (con le immagini rilevate dalle varie telecamere) veniva proiettato sul pavimento di terra della galleria dando luce alla pianta.


Attraverso l’infrastruttura di rete, lo spazio fisico della galleria, la vita che vi cresceva e altri luoghi distanti intorno al mondo erano interconnessi. 


L’azione a distanza causava conseguenze fisiche nello spazio reale in tempo reale.

 

"DARKER THAN NIGHT" (1999)
Attraverso un pipistrello robot (batbot) e un caschetto da realtà virtuale, lo sguardo dell’osservatore viene trasformato nel punto di vista del sonar del batbot.


Il sistema di orientamento basato sull’eco sonar naturale del pipistrello è convertito in onde sonore accessibili al sistema sensoriale umano e in una serie dinamica in tempo reale di punti bianchi su sfondo nero. I punti bianchi rappresentano gli ostacoli incontrati dal sonar del batbot.


"Darker Than Night è una rete di relazioni, un complesso circuito di segnali che circolano tra l’essere umano (il visitatore col caschetto), l’animale (i pipistrelli che trasmettono e ascoltano gli ultrasuoni come loro "senso della visione"), e la macchina (il batbot che simula i pipistrelli reali riproducendone il sistema di orientamento)". [S. Milevska]

KAC: Chiedendo agli esseri umani di prendere temporaneamente il punto di vista di un’altra forma di vita, il mio scopo e di mettere in evidenza che esistono tante realtà quanti sistemi sensoriali per conoscerle ed esperienze intersoggettive per costruirle. Il mio lavoro mette insieme etologia cognitiva, sudi sulla coscienza, cibernetica e filosofia dialogica, come nel lavoro di Uexküll, Griffin, Nagel, Maturana, Bakhtin, e Buber. Sono d’accordo con Abraham A. Moles che ha scritto: “Entrando nell’era della telepresenza cerchiamo di stabilire una equivalenza tra ‘presenza reale’ e ‘presenza delegata’. Questa presenza delegata sta distruggendo il principio organizzativo su cui la nostra società è stata, fino ad ora, costruita. Abbiamo chiamato questo principio la legge della prossimità: ciò che è vicino è più importante, vero, o corretto di ciò che è lontano, più piccolo, e più difficile da accedere (tutti gli altri fattori essendo uguali). Aspiriamo, per l’avvenire, ad uno stile di vita in cui la distanza tra noi e gli oggetti diverrà irrilevante al nostro regno di coscienza. A questo riguardo, la telepresenza significa anche un sentimento di equidistanza di ciascuno da tutti gli altri, e di ciascuno di noi ad ogni evento del mondo”. 

MLP: Riflettiamo un momento sulla “macchina”, ovvero sulla tecnologia, sugli strumenti che permettono alle tue installazioni di essere “circuiti”, dalla circolarità di Essay Concerning Human Understanding, alla interattività tra spazi differenti (reali, virtuali, presenti e remoti) e tra forme di vita differenti (uomini, animali, piante) di tutte le altre installazioni. Sembra che oggi la macchina da strumento di alterità e alienazione, stia divenendo un sistema di rete, più ancora che un sistema di comunicazione classico, un sistema per mettere in relazione cose differenti, ovvero un sistema per superare non più una distanza fisica, ma per superare la “differenza”, non solo tra qui e altrove ma anche tra soggetto e oggetto…

KAC: Il networking è tanto uno mezzo tecnico di collegamento tra entità disperse quanto uno strumento intellettuale per percepire la connettività ultima tra tutto ciò che c’è. Nel mio lavoro ho portato avanti entrambi i significati di “networking”. La mia intenzione non è quella di eliminare la “differenza”, che è impossibile, ma di creare modi più complessi per esaminare l’interazione tra similarità e differenza. In altre parole, permetterci di vedere che nonostante la differenza le somiglianze sono molto più forti di quanto pensassimo una volta. La telerobotica e la biologia molecolare sono alcuni degli strumenti che ho impiegato a questo fine. Consideriamo Maurice Merleau-Ponty, per il quale la nostra non-identicità l’uno a l’altro non è un difetto, ma la vera condizione della comunicazione. Ha scritto: “il corpo dell’altro –come portatore di comportamenti simbolici e del comportamento reale– si sottrae dall’essere una delle mie manifestazioni, mi offre il compito di una vera comunicazione, e conferisce ai miei oggetti una nuova dimensione di esistenza intersoggettiva.” Per Merleau-Ponty è nell’ambiguità della intersoggettività che la nostra percezione si “risveglia”.

"UIRAPURU" (1999)
Un piccolo dirigibile ‘pesce' radio controllato galleggia su una foresta tropicale di finta vegetazione. Il mondo fisico della galleria è simulato da un mondo in VRML su schermi piatti al limite della foresta artificiale.


La foresta reale/artificiale è un'interfaccia stratificata tra il mondo fisico e quello virtuale: i visitatori sperimentano l'interattività sia nello spazio reale che sulla Rete.


L'esperienza oscilla tra azione reale e a distanza, presenza reale e telepresenza.


GENE(SIS) (1999)
"Che l'uomo eserciti il proprio dominio sul pesce del mare e sul fluire dell'aria e su ogni cosa vivente che si muove sulla terra". [Bibbia, Genesi] 


Una microvideocamera proietta una larga immagine circolare di batteri coltivati in vitro. Ogni batterio è scritto nella stessa lingua genetica dei nostri corpi, ma qui alcuni batteri portano un gene che non esiste in natura, un gene sintetico creato dall'artista codificando un passo della Bibbia e combinandolo con una proteina che risplende di azzurro se illuminata da luce ultravioletta.


Per tradurre il nostro linguaggio naturale (alfabetico) nel linguaggio delle cellule, le AGCT del DNA, Kac ha usato l'alfabeto Morse: dopo aver tradotto il passo biblico nei punti e linee dell'alfabeto Morse, i punti sono stati sostituiti dalla base genetica Citosina (C); le linee con la timida (T); gli spazi tra le parole dall'Adenina (A), mentre gli spazi tra le lettere dalla Guanina (G). Questa sequenza unica di AGCT costituisce un nuovo gene. 


Il gene muta in diretta attraverso Internet quando gli osservatori/partecipanti dal Web attivano una fonte di luce ultravioletta nella galleria, cambiando così il significato originario del testo. Lo spazio della galleria è così trasformato in un trittico poliglotta dove lo stesso testo è presentato in tre lingue: quella alfabetica, quella biologica e quella morse/digitale tecnologica.
MLP : Dal mio punto di vista, le tue installazioni mi appaiono come perfette metafore del segno emergente che caratterizza la nostra epoca rispetto ad ogni altra: l’emergere di una nuova dimensione spazio temporale dove elementi organici e inorganici sperimentano una nuova continuità, più forte e potente della pura continuità fisica, una condizione di “webness” radicata innanzitutto nella nostra nuova padronanza dei codici profondi della vita e del linguaggio. In Genesis per esempio il codice alfabetico, quello biologico e quello digitale sperimentano una sorta di convergenza simbolica…

KAC: Nel diciannovesimo secolo il paragone fatto da Champollion basato sulle tre lingue della Stele di Rosetta (greca, scritto popolare e geroglifica) era la chiave per comprendere il passato. Oggi il triplice sistema di Genesis (linguaggio naturale, codice del DNA, logica binaria) è la chiave per comprendere il futuro. “Genesis” esplora la nozione secondo cui i processi biologici sono oggi scrivibili e programmabili, così come capaci di conservare ed elaborare dati in modi non diversi dai computer digitali. Inoltre, investigando questa nozione, alla fine della mostra la sentenza biblica alterata è decodificata e riletta in chiaro inglese, proponendo una visione […?] nel processo della comunicazione transgenica e interbatterica. I confini tra la vita basata sul carbonio e i dati digitali stanno diventando fragili come una membrana cellulare.

MLP: Vorrei farti un ultima domanda, spostando l’attenzione dagli oggetti o dagli obiettivi della tua ricerca al processo creativo: puoi dirmi qualcosa sul processo attraverso cui si sviluppa una installazione?

KAC: Tutti I miei lavori hanno in comune una serie di problemi che mi interessano, che si fondano intorno alle questioni della comunicazione – comunicazione non come trasmissione di informazioni ma come processo vivente. Dal momento che non ho alcuna considerazione per l’anacronistica nozione di “stile”, ogni lavoro elabora propri materiali e soluzioni di rete. Mi interesso ugualmente all’estetica e agli aspetti sociali dell’interazione verbale e non-verbale: sistemi linguistici, scambi dialogici, e comunicazione tra specie differenti. Una volta identificate le strategie che ho bisogno di portare avanti per trasformare un’idea in un’opera, cerco i mezzi per implementare il progetto. Il che è spesso un processo lungo, che richiede ricerca, dialogo, e sforzo interdisciplinare. Il lavoro è spesso prodotto nello stesso modo distribuito in cui è sperimentato, con azioni coordinate in molte città contemporaneamente.
> EDUARDO KAC

 


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